
Varda par Agnès
Un film di Agnès Varda Didier Rouget
In Varda par Agnès (che ha lo stesso titolo del libro scritto dalla regista nel 1994, in occasione di una retrospettiva dedicatale dalla Cinémathèque française) ascoltiamo per quasi due ore i discorsi della sua autrice, che racconta della sua carriera seguendo un filo tutto personale, che un po’ è cronologico e un po’ procede per associazioni e giustapposizioni, e che sono spiritose e stimolanti e originali come la tutta la sua opera, e come l’impianto formale che ha voluto dare a questo film.
Con Agnès Varda Sandrine Bonnaire Nurit Aviv
Produzione: Francia , 2019 , 115min.
Agnès Varda si siede su un palco. Fotografa professionale, autrice di installazioni e soprattutto pioniera della Nouvelle Vague, è un'istituzione del cinema francese senza però essersi mai chiusa a nuove esperienze. In questo film offre un ritratto della sua attività utilizzando sequenze delle sue opere cinematografiche, foto e riprese delle installazioni senza rispettare necessariamente e sempre un ordine cronologico. Nella seconda parte focalizza l'attenzione sugli anni dal 2000 al 2018 mostrando il suo rapporto con le nuove tecnologie.
Ci sono autori che hanno realizzato una minima parte di ciò che ha artisticamente prodotto Agnès Varda nella sua vita e già hanno monumentalizzato se stessi.
Lei invece racconta, con lo spirito di chi ama meravigliare ma soprattutto provare meraviglia, ogni suo passo nel mondo della creatività, precisando sin dall'inizio che un'opera frutto della creatività non ha raggiunto il suo scopo se non viene condivisa con altri che la facciano propria, cioè con degli spettatori che, in particolare nel caso delle installazioni, divengano attori offrendo una loro lettura personale.
Varda ha la capacità di trasmettere anche concetti complessi con la massima semplicità e, soprattutto, di saper far convivere astrazione e realtà. Sa come cogliere l'essenza di un sentimento o come far percepire un'assenza che, per una notte, ridiviene presente grazie a un'enorme immagine su una pietra, ma anche guardare a persone nella loro quotidianità e pure, perché no, nel loro disagio esistenziale.



