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Pink Floyd a Pompeii - MCMLXXII

Un film di Adrian Maben

Nel 1971 Adrian Maben ha a disposizione le rovine di Pompei per sei giorni, in cui girare le scene di un film-concerto dei Pink Floyd. Una sfida titanica. Nell'anfiteatro della città sepolta e incredibilmente conservata suona l'unica band che ha legittimità di farlo, senza sentirsi fuori posto: i Pink Floyd del 1971, espressione di una musica mai sentita prima, sperimentale e ambiziosa. È l'istantanea di un gruppo all'apice della sua creatività, che unisce il repertorio del periodo susseguente all'abbandono del fondatore Syd Barrett, che attirò le attenzioni di cineasti come Michelangelo Antonioni, con una svolta incipiente, come dimostrano i primi vagiti dell'epocale album "The Dark Side of the Moon", che ascoltiamo tra un'esecuzione live e l'altra.

Con Pink Floyd David Gilmour Nick Mason Roger Waters

Produzione: Francia , 1972 , 85min.

PINK FLOYD AT POMPEII - MCMLXXII: dal 24 al 30 aprile al cinema

ink Floyd: Live at Pompeii, nella sua restaurata magnificenza per il cinquantesimo anniversario, trascende la mera definizione di film-concerto. È, piuttosto, un’esperienza immersiva, quasi un rito sciamanico distillato su pellicola, che trova nella totale assenza di pubblico non una mancanza, ma una scelta radicale che amplifica l'intimità e la potenza esecutiva. La versione curata con devozione filologica, forte di un trasferimento in 4K dal negativo originale e di un remix audio 5.1 firmato dal mago del suono Steven Wilson, restituisce con una fedeltà quasi sconcertante la vibrazione di quel momento irripetibile.

Il limite intrinseco della brevità delle riprese live tra le solenni rovine, imposto al regista Adrian Maben, si trasforma in un'opportunità strutturale. Il film evolve in un documentario ibrido affascinante, che intesse le suggestive performance nell'anfiteatro vuoto con sequenze dal cuore creativo dei Pink Floyd: lo studio di registrazione di Abbey Road. Qui, le interviste a David Gilmour, Roger Waters e gli altri membri della band offrono sprazzi di una consapevolezza della propria statura artistica già palpabile, pur dissimulata dietro una sorprendente nonchalance. Il contrasto tra l'atteggiamento dimesso di questi "studenti d'arte freak" e l'ascolto degli embrioni di The Dark Side of the Moon – l'album che li proietterà nell'Olimpo multimilionario del rock – aggiunge uno strato di ironia quasi preveggente alla narrazione.

Il vero fulcro emotivo e visivo rimane l'esibizione tra le vestigia di Pompei. Qui, la band sfrutta la teatralità innata dei brani pre-Dark Side, spingendola all'estremo. Momenti iconici – l'urlo catartico di "Careful with That Axe, Eugene", Waters che percuote il gong controluce come un'ombra totemica, Gilmour che evoca il lamento dei gabbiani con la sua Stratocaster – si alternano a inquadrature che dialogano direttamente con il contesto: mosaici romani, le inquietanti esalazioni vulcaniche, la pietra consumata dal tempo. La regia di Maben non si limita a documentare; crea un'atmosfera, un legame ancestrale tra la musica visionaria dei Floyd e la storia millenaria del luogo.

Quando i primi rintocchi di "Echoes (Part 1)" risuonano nell'aria immobile e il grandangolo iniziale si stringe progressivamente sulla band, l'enormità e l'ambizione del progetto si cristallizzano sullo schermo. In quel movimento di macchina, in quella lunga suite che è un viaggio sonoro, si percepisce la portata della rivoluzione musicale che i Pink Floyd stavano compiendo. Hanno infranto le convenzioni, rigettando la gabbia del ritornello facile e dell'assolo codificato. Hanno dimostrato che con una strumentazione rock "tradizionale" si potevano costruire architetture sonore complesse, suite inafferrabili e ricche di saliscendi dinamici, la cui ambizione strutturale flirtava apertamente con la partitura classica. Un'intuizione radicale nel 1971, un faro avveniristico che molti hanno tentato di emulare nei cinquant'anni successivi, ma a cui nessuno si è mai seriamente avvicinato. Live at Pompeii non è solo la testimonianza di una band al suo apice creativo; è il manifesto visivo e sonoro di quella rottura irrevocabile.