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Tutto l'Amore che Serve

Un film di Anne-Sophie Bailly

Tutto l'Amore che Serve, il film diretto da Anne-Sophie Bailly, è ambientato a Créteil, piccola città non lontana da Parigi, e ha per protagonista Mona (Laure Calamy).
La donna, sessantenne e madre single, vive col figlio trentenne Joël (Charles Peccia-Galletto) in un piccolo appartamento alla periferia, tra ritmi abitudinari e silenzi collaudati. Joël ha un lieve ritardo mentale e lavora in un centro che assiste i disabili, dove conduce una routine rassicurante, fatta di piccoli gesti e rapporti semplici.
Quando un giorno confessa alla madre di essere innamorato della sua collega Océane (Julie Froger) – anche lei con disabilità – e che la ragazza è rimasta incinta, Mona casca dal pero. Non sapeva nulla della relazione, coltivata con innocenza ma anche determinazione, e la gravidanza la pone di fronte a una responsabilità che non è sicura di volersi assumere in questo momento della sua vita, in attesa della pensione e di una tranquillità mai davvero raggiunta, schiacciata da anni di cure e rinunce.
La scoperta incrina il loro legame simbiotico e costringe Mona a fare i conti con la propria identità, il desiderio di autonomia e la paura di restare sola. La scelta da compiere mette a dura prova il rapporto madre figlio, sollevando interrogativi su affetto, dovere e libertà.

Con Laure Calamy Charles Peccia-Galletto Julie Froger Geert Van Rampelberg Rebecca Finet

Produzione: Francia , 2024 , 95min.

TUTTO L'AMORE CHE SERVE | Trailer italiano ufficiale HD

Nel labirintico mondo delle case d'asta, dove il valore di un'opera può celare mille segreti, il nuovo film di Pascal Bonitzer, Il quadro rubato, emerge come un thriller d'arte astuto e coinvolgente. Ispirato a un'incredibile storia vera e con un dichiarato omaggio a L'hypothèse du tableau volé di Raúl Ruiz, Bonitzer ci trascina in un gioco di specchi tra autenticità e falsificazione, dove un dipinto perduto da decenni diventa la chiave per svelare l'ambiguità umana.

La vicenda prende il via con André Masson (un Alex Lutz volutamente inquietante), esperto d'arte e banditore per la prestigiosa Scottie's. La sua routine viene sconvolta dalla notizia del ritrovamento de "I girasoli" di Egon Schiele, un'opera scomparsa dal 1939, saccheggiata dai nazisti. Il dipinto riemerge inaspettatamente nella modesta abitazione di Martin, un giovane operaio chimico a Mulhouse, in Francia. Nonostante lo scetticismo iniziale, André, affiancato dalla collega ed ex-moglie Bertina, conferma l'autenticità del capolavoro. Questo ritrovamento promette di lanciare definitivamente la sua carriera, ma è solo l'inizio di una serie di ostacoli e rivelazioni che metteranno a dura prova la sua integrità.

Il quadro rubato non è un semplice heist movie o un dramma sul mondo dell'arte; è piuttosto un thriller psicologico che si nutre delle sfumature morali dei suoi personaggi. Pur non avendo l'unità di luogo del film di Ruiz, ne condivide la natura enigmatica e la tensione palpabile. Il vero protagonista silenzioso è "I girasoli" di Schiele stesso, la cui tenue luce iniziale illumina la parete per poi rivelare gradualmente la sua identità e il suo inestimabile valore, diventando un faro attorno al quale si muovono i destini dei protagonisti.

André Masson è costantemente in bilico, la sua instabilità è palpabile grazie all'interpretazione di Lutz, che riesce a trasmettere un senso di disagio e cinismo. Martin, l'inaspettato custode del capolavoro, è quasi spaventato dal cambiamento che il dipinto potrebbe portare nella sua vita. A completare il quadro, due figure femminili antitetiche ma complementari: Bertina (interpretata da una Léa Drucker misurata) e Aurore (una Louise Chevillot magnetica e ambigua). Aurore, una stagista dal comportamento enigmatico, agisce quasi come l'ombra di Bertina, creando un "cortocircuito" tra luce e oscurità che riflette il tema dell'inganno e della truffa, evidente nelle bugie che la ragazza stessa racconta sulla sua vita. Bonitzer le mostra come figure sfuggenti che, pur sembrando ai margini, diventano decisive in ogni loro azione.

Il regista non si limita a mostrarci il mondo della pittura, ma punta il dito su chi ne trae profitto. Le scene delle aste sono tese e incalzanti, un palcoscenico dove la febbre del denaro eclissa la bellezza intrinseca dell'opera. Lo sguardo di Bonitzer è di una indiscutibile eleganza, ma nasconde una tensione palpabile, quasi a suggerire che in ogni immagine, proprio come nelle pennellate dei "Girasoli", si annidino misteri e ambiguità.

Bonitzer, ex critico dei Cahiers du cinéma, non offre una mera dichiarazione estetica. Piuttosto, da regista, si interroga sul valore intrinseco e la bellezza dell'arte, connettendosi sapientemente alla sua filmografia precedente. Il film evidenzia come un singolo evento possa stravolgere la vita del protagonista, un tema già esplorato in opere come Cherchez Hortense, e si cimenta con il genere giallo, come già visto in Alibi e sospetti. L'illusione di un'alternanza tra vita reale e rappresentazione risente chiaramente dell'influenza di Jacques Rivette, con cui Bonitzer ha collaborato a lungo come sceneggiatore.

Con uno stile classico ma efficace, Il quadro rubato è una commedia/thriller morale e acida, dalla scrittura brillante e dai dialoghi taglienti. È un vero e proprio tableau vivant dove i personaggi, grazie alle prove di alto livello dei suoi attori, rivelano le loro ossessioni e le loro follie. Un cinema sull'ambiguità vecchio stampo, formalmente controllato ma capace di essere incredibilmente intrigante e penetrante. Un film che ci invita a guardare oltre la superficie, perché spesso, la verità, proprio come un capolavoro perduto, si nasconde nei dettagli più inaspettati.

Sei d'accordo che le aste, per quanto affascinanti, possano mostrare un lato cinico del mondo dell'arte?