
Maratona di New York
Un film di Luca Franco
Una storia di amicizia, quella tra Mario e Steve, che si allenano per partecipare al mitico evento sportivo. Sullo sfondo di una notte insolita, il dialogo scava nell’esistenza dei due, nelle loro fragilità, in quelle di tutti noi. Il rito del correre si fa metafora della vita. La storia ha tre protagonisti: due uomini e una strada. Da settimane Mario e Steve si stanno allenando per partecipare alla Maratona di New York. La loro corsa ostinata nel tramonto attraversa boschi e scarpate, come tutti i giorni. Ma quella sera non è come le altre. C'è una strana inquietudine nell'aria. Nella fatica del percorso il dialogo cameratesco si fa più enigmatico e serrato, attraversato da fantasmi vicini e lontani. Mario, il più timido e il meno atletico dei due, comincia a porsi delle domande su stesso e sull'amico: sono tanti i particolari che non tornano. La verità si farà strada nella nebbia, verso un finale lacerante e sorprendente. Sullo sfondo, il mito di Filippide, il greco che corre da Maratona ad Atene per gridare "Abbiamo vinto!".
Con Davide Paganini Massimiliano Caretta Enzo Paci Chiara Degani
Produzione: Italia , 2024 , 87min.
L'arduo sentiero che conduce un'opera teatrale di culto verso la trasposizione cinematografica è lastricato di insidie e aspettative. "Maratona di New York", opera prima di Luca Franco, si assume il considerevole onere di portare sul grande schermo l'omonima, acclamata pièce di Edoardo Erba, un testo che dal suo debutto nel 1993 ha attraversato i palcoscenici del mondo, divenendo un classico contemporaneo tradotto in diciassette lingue. Un'eredità importante, che il regista genovese affronta con un approccio intimo e un forte radicamento territoriale.
La sinossi, apparentemente semplice, cela una tensione crescente e misteri esistenziali. Due uomini, Mario (Massimiliano Caretta) e Steve (Davide Paganini), si allenano con ostinazione per l'epica maratona newyorkese. La loro corsa al tramonto, attraverso i boschi e le scarpate delle alture liguri, è un rito quotidiano. Ma una sera, l'aria si carica di un'inquietudine palpabile. La fatica fisica si intreccia a un dialogo cameratesco che progressivamente si fa più enigmatico, serrato, quasi febbrile, squarciato da "fantasmi vicini e lontani". È Mario, il più riflessivo e forse meno performante dei due, a iniziare a interrogarsi, a percepire delle crepe nella realtà condivisa con l'amico. Particolari che non tornano, silenzi che pesano, sguardi che sfuggono. La verità, come nebbia che si dirada, si farà strada dolorosamente, conducendo a un finale che promette di essere tanto lacerante quanto sorprendente, con il mito di Filippide – l'emerodromo che corre fino allo stremo per annunciare la vittoria – a fare da eco ancestrale alla loro impresa.
La scelta di Franco di girare interamente sulle alture liguri, tra Monte Fasce e il Parco Nazionale del Beigua, non è solo una questione logistica o di appartenenza (il cast tecnico e artistico è prevalentemente genovese, con volti noti come Enzo Paci, Chiara Degani e Giacomo Ardito a completare il quadro). Il paesaggio aspro e suggestivo diventa esso stesso terzo protagonista, un'arena naturale che amplifica la solitudine dei due corridori e, al contempo, la claustrofobia emotiva del loro rapporto. La scenografia, premiata al CineOff – International Independent Film Festival di Jesi, è dunque elemento narrativo cruciale, che sottolinea come l'ambiente non sia mero sfondo ma specchio delle loro anime tormentate.
La sfida principale per un'opera come questa risiede nella traslazione del linguaggio. Il testo di Erba vive di dialoghi serrati, di un non detto che si accumula e di una tensione psicologica costruita parola su parola. Franco sembra voler onorare questa matrice, affidandosi alla forza della recitazione di Paganini e Caretta, chiamati a incarnare la complessità di un legame che oscilla tra cameratismo e sospetto. Resta da vedere quanto la regia riesca a emanciparsi dalla potenziale staticità teatrale, sfruttando appieno le possibilità del mezzo cinematografico per "aprire" l'azione senza disperdere l'intensità del nucleo drammatico. L'utilizzo degli spazi aperti potrebbe offrire un interessante contrasto con l'intimità psicologica, oppure rischiare di stemperare la pressione interna se non sorretto da un montaggio e da scelte di ripresa particolarmente incisive.
Come opera prima, "Maratona di New York" si presenta con ambizioni lodevoli: affrontare un testo di tale caratura denota coraggio e una visione precisa. Il film promette uno scavo nelle dinamiche relazionali maschili, toccando temi come l'amicizia, la competizione, il peso del passato e la ricerca della verità, per quanto dolorosa essa sia. La sua natura di thriller psicologico in movimento, ambientato in un contesto inusuale per il genere, potrebbe rappresentare un elemento di forte originalità.
Dopo la presentazione in alcuni festival e l'uscita inaugurale al Cinema Sivori di Genova, l'attesa è ora per la sua progressiva diffusione in Liguria e nel resto d'Italia, prevista tra aprile e questo maggio [2025]. Sarà interessante osservare la risposta del pubblico a questa fusione tra l'eredità del grande teatro d'autore e una sensibilità cinematografica che cerca una propria voce, in un racconto dove ogni passo affannoso sembra avvicinare non solo a un traguardo fisico, ma a una sconvolgente rivelazione interiore. Un'opera che, sulla carta, ha tutti gli elementi per stimolare una riflessione profonda sulla fatica del vivere e sulla complessità dei legami umani.



