
I fantasmi di Ismael
Un film di Arnaud Desplechin
Scrive di notte per evitare gli incubi che lo perseguitano da anni. Sta per girare un film che ha come protagonista Ivan (Louis Garrel), un diplomatico sui generis ispirato alla vita del fratello. Il dolore che affligge Ismaël è dovuto alla perdita della moglie Carlotta (Marion Cotillard), scomparsa nel nulla vent'anni prima, appena dopo essersi sposati giovanissimi, poco più che ventenni.
Ismaël condivide la sofferenza con il suocero Henry Bloom (László Szabó), un famoso regista che gli ha insegnato la settima arte e di cui Ismaël si prende cura, nonostante riuscire a consolarlo sia un'impresa ormai impossibile. Entrambi vivono esistenze disperate, che non riescono a liberarsi dall'ombra di Carlotta, data ufficialmente per morta senza però aver mai trovato il cadavere.
Con Mathieu Amalric Marion Cotillard Charlotte Gainsbourg Louis Garrel Alba Rohrwacher Hippolyte Girardot
Produzione: Francia , 2017 , 110min.
In uno dei suoi momenti di massimo delirio, Ismaël Vuillard (nome che riemerge dai tempi nebbiosi dei I re e la regina) cerca di spiegare la prospettiva al suo produttore Zwy. Ha piazzato due quadri, due riproduzioni, l’una di fronte all’altra: l’Annunciazione del Beato Angelico, con quelle fantastiche ali multicolore dell’arcangelo Gabriele, e il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck. Tra un quadro e l’altro, Ismaël ha steso una selva di fili: per tracciarne i rapporti, le rispettive linee di fuga, le differenze, gli intrecci e gli scarti. Il tutto per dire che non esiste un’unica prospettiva, certa, netta, geometrica, chiusa e sigillata da una legge definita una volta e per sempre. Accanto alla regola implacabile dei pittori del Rinascimento italiano, c’è la spazio inclusivo dei fiamminghi, quello che disegna più sfere che coni, quello che si deforma sotto la pressione di più punti di vista e che si apre ai lati, si rovescia in avanti, si allunga nei riflessi. Ovviamente, i ragionamenti di Ismaël sono tutt’altro che chiari e lineari. Il suo modo di parlare e muoversi ha lo stesso fremito incontrollato dei film di Desplechin, che sprigiona ogni volta tutta l’esuberanza destabilizzante di Amalric, spingendolo fuori asse, faccia a terra. Eppure, nonostante sia appena accennato, il confronto pittorico ha la forza rivelatrice di una dichiarazione d’intenti. Perché nell’attimo stesso in cui nega l’unicità della prospettiva, il “regista” Ismaël Vuillard rivendica l’eredità della linea olandese. Chiamando con sé lo stesso Desplechin, che, proprio come fosse colto dal minuscolo riflesso dello specchio alle spalle degli Arnolfini, torna sempre in campo, ben dentro il quadro. Il suo cinema in prima persona non può sfuggire alla presenza ingombrante delle sue ossessioni e perciò mostra sempre tutti i segni, tutta la parzialità di un punto di vista interno: lo spazio non chiude, vacilla, segue le derive ben poco “scientifiche” dell’emozione, dei ricordi, delle impressioni.
Il cinema di Desplechin, nonostante la sua apparenza così vitale, in fondo ci sbatte in faccia la nostra fatica, la rassegnazione, la rinuncia. L’esserci abituati a vivere l’assenza come una certezza, a considerare il presente e il futuro solo come due altre forme del passato… Per questo, a volte, è così difficile da capire e accettare. Eppure, quell’ansia che lo attraversa è fame di mondo. Dopo il travaglio del negativo, c’è ancora vita. Vita che sei di ritorno, tu non devi abbandonarmi mai.



