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Il colore della fatica

Un film di Andrea Gropplero

L’unità d’Italia, a detta di molti, più che Garibaldi, l’ha fatta il giro. È in questa Italia che vogliamo raccontare uno degli eventi sportivi di maggiore rilevanza e affezione popolare. L’Istituto Luce, dalla sua fondazione ha documentato il “Giro”. Ideato dalla Gazzetta dello Sport nel 1909, interrotto durante le due grandi guerre, nel 2017 festeggerà la centesima edizione.
Il “Giro” non è solo la storia di “nasi dritti come una salita”, di “italiani in gita”, è la storia di un paese che ha saputo vivere le differenze linguistiche, economiche, gastronomiche, come una ricchezza e fondando su queste la propria identità nazionale. È la storia di mille fughe, di mille strategie di fuga, di come queste sono cambiate da Binda a Moser, di come è cambiato il gioco di squadra. Molti pensano che il ciclismo sia uno scontro tra individui, tra singoli soggetti con una forza sovrumana nelle gambe e dei polmoni d’acciaio, in verità pochi sport vivono una dinamica di squadra intensa come il ciclismo. Una squadra è composta da un capitano, un vice, i gregari, il velocista, il direttore tecnico, i meccanici e nell’epica del “Giro” per i non addetti è difficile capire chi ha maggiormente contribuito alla vittoria. La grande epopea del “Giro” non è solo il dualismo Coppi Bartali, di cui si è narrato molto, è storia di eroi popolari come Binda, Girardengo, Gimondi, Bugno, Moser e di altri uomini importantissimi e meno conosciuti, campioni, tecnici e gregari che concorrono a fare grande la storia del “Giro”. È anche la storia di quell’Italia che Mario Soldati cercava nei piatti tipici delle trattorie sparse nelle varie tappe, di una convivialità semplice, saporita e vera. Quell’Italia che pedalando ritrova dopo la grande guerra il coraggio nel futuro e tappa dopo tappa, regione dopo regione, paese per paese, scopre il boom economico, affidando ai singoli ciclisti l’orgoglio dell’appartenenza campanilistica.

Con Felice Gimondi Giorgio Squinzi Ernesto Colnago Vincenzo Nibali Francesco Moser Eddy Merckx

Produzione: Italia , 2018 , 60min.

Il bianco e nero. Esalta la polvere, il fango, le strade sterrate. E poi rende i volti della gente a bordo strada simili a quelli dei propri idoli. Ciclisti figli dell'Italia contadina, eroi popolari che non reincarnano il manifesto dell'eroismo come bellezza, ma come sublimazione dello sforzo. Il bianco e nero è la tonalità dominante de 'Il colore della fatica', di Andrea Gropplero, un film che attraversa cultura e tradizione popolare del ciclismo proponendo splendidi filmati di repertorio d’archivio Luce. Immagini che si alternano a testimonianze di campioni, ma anche di grandi personaggi legati al mondo del ciclismo, con racconti mai banali. Il documentario si apre con filmati 'poetici' sugli albori del Giro d'Italia. Rara una intervista a Giovanni Gerbi, il leggendario 'diavolo rosso', pioniere della bici, ormai invecchiato e circondato dai suoi nipoti. E poi il primo campionissimo, Costante Girardengo, talmente popolare che il suo giovane rivale, Alfredo Binda, fa fatica a trovare spazio nei cuori degli italiani. A proposito di Binda, una intervista rilasciata dopo una delle sue tante vittorie (era talmente forte che al Giro una volta lo pagarono per non partecipare), è il simbolo di un'altra epoca, specialmente quando definisce l'avversario, 'forestiero', termine decisamente atipico nel ciclismo globalizzato dei nostri giorni.

Il ciclismo, forse meglio dire la bicicletta, fa da sfondo alla storia più di ogni altro sport. Basterebbe citare il manifesto affisso nella Roma occupata dai tedeschi, che vieta l'uso della bicicletta in quanto strumento importante per gli uomini della Resistenza. Nel dopo guerra poi, le immagini toccanti della gente che accoglie il gruppo del Giro mentre ai lati i palazzi sono ancora dilaniati dai bombardamenti, Giordano Cottur che nel 1946 entra a Trieste con un manipolo di coraggiosi in un momento di tensione estrema con la Jugoslavia di Tito, Gino Bartali che racconta la telefonata ricevuta da Alcide De Gasperi, il quale gli chiede di vincere il Tour del 1948 per calmare la piazza in tumulto dopo l'attentato a Togliatti.

Inoltre, tante testimonianze personali. Massimo Cacciari, Achille Bonito Oliva, Romano Prodi, Giorgio Squinzi, Enrico Brizzi, Ernesto Colnago, Urbano Cairo, Felice Gimondi, Eddy Merckx, Francesco Moser, Vincenzo Nibali, il ct azzurro Davide Cassani.

Un campione come Gimondi spiega la sua prima bici, ricevuta per 'essere stato promosso alle elementari'. Romano Prodi rivela come le decisioni più importanti le abbia prese pedalando, perché ''arriva il momento che uno deve stare solo, senza nessuno che ti rompa le scatole'. Lo stesso Prodi traccia poi un ritratto, sconosciuto ai più, del più grande di tutti, Eddy Merckx. "Un uomo colto che leggeva molto. Quando gli ho domandato il perché di queste passioni mi ha risposto che quando uno deve pedalare 8 ore al giorni, a qualcosa deve pur pensare, riflettere...".