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200 Metri

Un film di Ameen Nayfeh

200 Metri, film diretto da Ameen Nayfeh, racconta la storia di Mustafa (Ali Suliman), sposato con Salwa (Lana Zreik), con cui ha costruito una famiglia. I due provengono da due paesi palestinesi che distano circa 200 metri l'uno dall'altro, ma sono separati da un muro, cosa che porta non pochi problemi al loro matrimonio. La coppia sarebbe serena e tranquilla se non ci fosse tra loro quella massiccia presenza che li separa, ma nonostante ciò, cercano di far funzionare come possono le cose: la notte Mustafa accende una luce per augurare la buonanotte alla moglie ai figli e questi rispondono allo stesso modo.
Quando l'uomo riceve una chiamata terribile, in cui gli si comunica che suo figlio ha avuto un incidente, si ritrova, come ogni genitore, in preda all'angoscia e al timore. Mustafa, desideroso di giungere in ospedale il prima possibile, corre al checkpoint, dove non solo è costretto a fare la fila, ma gli viene negato il passaggio perché le sue impronte digitali non coincidono. Totalmente disperato e sempre più preoccupato, si rivolge a un contrabbandiere per oltrepassare il muro e ha così inizio la sua odissea, che trasformerà quei 200 metri in un incubo terribile e duraturo, dal quale Mustafa ha difficoltà a risvegliarsi.

Con Ali Suliman Anna Unterberger Motaz Malhees

Produzione: Palestina , 2020 , 96min.

200 METRI | Trailer Italiano Ufficiale HD

Un piccolo film dichiaratamente politico, che alla maniera delle commedie balcaniche trova nelle ferite di una terra la metafora del male che la affligge.

La geometria insegna che il modo più veloce per unire due punti è tracciare una retta. La vita e la Storia, però, hanno da sempre altre regole, altri piani, e le rette possono spezzarsi di fronte a un muro o diventare linee circonflesse e tortuose che uniscono i punti in maniera imprevedibili.

In Cisgiordania, nelle zone dove scorre la "barriera di separazione" (così la chiamano gli israeliani) eretta a partire dal 2002, capita che due case distanti appena 200 metri siano in realtà separate in maniera insanabile. Solo una luce può unirle: non l'amore reciproco delle persone che le abitano, né tantomeno la politica, che da decenni non riesce, non può, non sa o non vuole risolvere un problema che insanguina una terra, affligge un popolo e crea uno stato di guerra permanente.

Ameen Nayfeh, regista palestinese al primo lungometraggio, ha racchiuso la realtà di uno dei luoghi simbolo della conflittualità contemporanea nello spazio minimale occupato da una famiglia palestinese - padre e nonna da questa parte del muro, madre e figli dall'altra, nel territorio d'Israele - e lo ha allargato alle alture oltre le città, agli spazi pattugliati dall'esercito israeliano e attraversato da trafficati e coraggiosi semplici cittadini. La metafora è evidente, fin ovvia, e illustra il paradosso di due nazioni che condividono lo stesso territorio, divise però da rapporti di forza sbilanciati. I palestinesi, popolo sconfitto, diseredato, disunito, sono costretti a vivere fuori dalla realtà, o meglio ancora in una realtà surreale, in cui la geometria è surclassata dalle leggi degli uomini.