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Il vizio della speranza

Un film di Edoardo De Angelis

Il vizio della speranza, il film diretto da Edoardo De Angelis, segue la storia di Maria (Pina Turco), una giovane donna senza sogni né desideri, il cappuccio sulla testa e il passo risoluto. Un'esistenza trascorsa un giorno alla volta, a prendersi cura di sua madre e al servizio di una madame ingioiellata. Insieme al suo pitbull dagli occhi coraggiosi Maria traghetta sul fiume donne incinte, in quello che sembra un purgatorio senza fine. E' proprio a questa donna che la speranza un giorno tornerà a far visita, nella sua forma più ancestrale e potente, miracolosa come la vita stessa. Perché restare umani è da sempre la più grande delle rivoluzioni.

Con Pina Turco Massimiliano Rossi Marina Confalone Cristina Donadio Odette Gomis Juliet Esey Joseph

Produzione: Italia , 2018 , 90min.

Il Vizio Della Speranza - Trailer Ufficiale

Con Edoardo De Angelis la speranza diventa maledettamente concreta, tangibile, viscerale. Non serve essere preparati. Non serve conoscere un versetto del Vangelo. Non serve essere un teologo. Non serve nemmeno essere un praticante. La “rivelazione” nell’opera del regista napoletano arriva senza meriti a tutti perché, annuntio vobis magno gaudio, habemus… un film di rara potenza. Un vero miracolo del cinema che non si stanca di prenderci per mano e farci riflettere sul senso del nostro «campa’». L’opera è una preghiera biliale, come quella del personaggio Carlo Pengue alla fine, necessaria alla nascita nel mentre del dolore più atavico e anche alla rinascita nel mentre della sofferenza più estrema di sentirsi abbandonati agli inferi del mondo. «Io so. Tu sai», dice la protagonista poco prima con lo sguardo verso l’alto. Cosa è ognuno nel suo intimo a deciderlo, a serbarlo.
Un miracolo del cinema, davvero? Sì, perché lo sguardo di Edoardo De Angelis e della scrittura condivisa con Umberto Contarello vivono di quella autonomia propria dell’arte, da cui traspare sì effettivamente la geometria della speranza e l’algebra del presepe e dell’affanno che lo precede, senza al contempo però intrappolarli in una architettura catechetica. Oltre ad una conoscenza non manichea di Castel Volturno, una rilettura quasi da epopea dei suoi abitanti non pervenuti all’anagrafe e una credibilità attoriale condivisa tra protagonisti e piccoli cammei, la rivelazione giunge grazie al realismo dello “sporco” che non preclude la verità del “pulito” (meraviglioso in tal senso il discorso sul linguaggio che Maria dedica al suo grembo). Giunge grazie alla miseria materiale che non preclude la ricchezza d’animo. E ancora grazie alla puzza di discariche a cielo aperto che nascondono comunque pietanze che soltanto un talento visionario come De Angelis poteva mettere in scena. Viene fame di vita, di rottura, di evoluzione, di salvezza, di preghiere, di miracoli che nessuno verrà, per fortuna, a certificare.
Il cibo, un protagonista non meno importante di Maria, seppur così invitante non basta più a sfamare la sua esistenza. Ora sono in due: l’aspettativa di vita che nasconde in grembo le fa sentire la novità del desiderio. Sente che non basta la razione di cibo di una manager matrona per portare al mondo suo figlio. Bisogna salvarlo dalla tratta e questo coraggio regala la forza di salvare anche altri piccoli (la pastorella di colore con il suo bastone diviene icona della tenerezza).  E di lasciare genitori e parenti che hanno succhiato fin troppo del suo latte. Da domani, dirà Maria alla madre, «non ti sveglio più». Da domani mi occuperò finalmente di me stessa occupandomi del mio piccolo “uomo”. Il cane, che non ha nemmeno un nome tanto è rara l’adozione a Castel Volturno, lascia il passo a nuove epoche. Il simbolo della difesa può morire perché Maria non è più sola. Sa finalmente dove andare, ha trovato una grotta di riparo, ma prima si lascia letteralmente “imbambolare” – è l’incanto della dignità –  da una local vestita di bianco che le annuncia che i tempi finiscono (uno dei significati/rimandi all’Avvento!) e che non bisogna farsi trovare impreparati.
Un film, quindi, di gesti che uccidono dentro per sempre e altrettanti che salvano nell’immediato perché si può ancora provare a passare da un lato all’altro del fiume: basta trovare il ripensamento di Maria che regalerà la libertà a Fatimah. O un “brav’uomo” come Pengue che tolse alle acque Maria da bambina e ora anche da adulta. Un fiume che non ha pesci buoni per nessuno: si può solo aggrapparsi ad un essere umano. Ecco cos’è la speranza per Edoardo De Angelis; tenersi stretti alle persone che dimostrano di appartenere all’umanità, di agirla, di metterla a disposizione degli altri. Tutto ciò regala il Natale, un giro in giostra che fa dimenticare in/per un secondo le ferite di una vita, che fa scoprire il fascino di una paura ludica che non si appiccica per sempre all’anima come quella dei tanti lupi cattivi che abitano questo mondo. Si può tornare ad essere piccole bambole, bianche, candide, con merletti e sogni perché “a me nessuno mi uccide”. Nemmeno i tanti zi’marì (Marina Confalonieri, senza ritegno nella sua bravura) che incontriamo sulla nostra strada e che di fronte alla «stronzità» della nostra speranza, sentono il richiamo del rispetto. Perché la speranza porta in sé il vizio del rischio.

Arianna Prevedello,
responsabile comunicazione ACEC nazionale