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Opera Real Madrid

Aida

Autore: Giuseppe Verdi
Libretto: Antonio Ghislanzoni

Direttore d'orchestra: Nicola Luisotti
Regia: Hugo de Ana
Scenografia: Hugo de Ana
Costumi: Hugo de Ana

Solisti: Soloman Howard Violeta Urmana Liudmyla Monastyrska Gregory Kunde Roberto Tagliavini George Gagnidze Sandra Pastrana

In occasione del bicentenario della sua prima rappresentazione, Aida torna sulla scena del Teatro Real di Madrid dopo 20 anni. La storia, molto amata da Verdi contrappone l'amore vietato tra Ramades, capitano delle guardie egizie e la schiava etiope Aida e la guerra sanguinosa tra i loro popoli. Opera monumentale, complessa, è considerata una delle opere liriche più importanti della storia.

Durata: 190min.

Aida en 1 minuto | Teatro Real 200 años 17/18

In una stagione celebrativa come quella per il bicentenario del Teatro Real di Madrid non poteva mancare un’Aida (originalmente incorniciata tra Street scene di Weill e Gloriana di Britten), che oltre tutto richiamasse la storia più recente del teatro; si tratta infatti della versione rinnovata dell’Aida che nel 1998 Hugo de Ana allestì per la stagione di riapertura del Real dopo molti anni di restauro. Ora – assicura lo stesso regista – di quella produzione resta soprattutto il profilo stilistico, ma lo spettacolo è del tutto diverso; senza dubbio il ripensamento e le nuove riflessioni insistono sulla differenziazione dei quadri, delle situazioni e delle ambientazioni, ancor più che sui caratteri individuali. La direzione del Real ha investito molto anche nelle voci: tre compagnie si alternano per disimpegnare le diciassette recite previste. Il primo cast raggruppa nomi illustri, ben collaudati e pluripremiati, tutti specialisti della loro parte; ma l’esito propriamente musicale, seppure in un clima di grande successo, resta inferiore a quello visivo.

Gli artefici dell’esecuzione, direttore d’orchestra e regista, paiono confermare un giudizio gravido di conseguenze pratiche: che Aida sia l’opera ottocentesca par excellence, monumentale, fastosa, fiabesca e guerriera, raggrumata attorno a qualunque iconografia che – più o meno plausibilmente – possa richiamare l’antico Egitto (e non importa di quale dinastia: l’importante è che la vista dello spettatore induca a pensare «all’epoca della potenza dei Faraoni», come avverte Ghislanzoni in apertura di libretto). Abbracciata questa causa, non ci si meraviglia che l’apparato scenografico sia tutto un fluire di oggetti, sempre più ingombranti, fino al secondo quadro del II atto, quando devono vedersi «i carri di guerra, le insegne, i vasi sacri, le statue degli Dei» (ancora il librettista, in una didascalia della scena del trionfo). Il regista vi aggiunge una foresta di lance, scudi, archi e frecce ad accompagnare ciascun momento corale; in cui sfilano guerrieri nubiani, arcieri sciti, schiavi etiopi, sacerdoti egizi, gruppi di donne e uomini del popolo; un’abbondante profusione di glutei e seni colorati si riversa su palcoscenico, all’ombra di obelischi e di piramidi.
Nicola Luisotti si impegna per porgere un suono orchestrale massiccio e imponente, sebbene non sempre riesca a mantenere i necessari equilibri; nella scena del trionfo, per esempio, qualche sfasatura tra orchestra e coro guasta un po’ l’effetto complessivo. I tempi sono per lo più pacati, salvo qualche clausola accelerata troppo bruscamente; Luisotti tralascia, del resto, anche la possibilità di far percepire le differenze nell’impostazione sonora tra i primi due atti e i successivi: nelle atmosfere notturne del III, nella scena del giudizio e in quella finale della tumulazione dei due amanti, i volumi orchestrali restano sempre fragorosi, disattendendo molte delle indicazioni agogiche verdiane. In sintesi, la tromba e il timpano prevalgono quasi sempre sul violoncello e il flauto.
Vieppiù affezionato e impegnato nelle stagioni del Teatro Real, Gregoy Kunde è un Radamès pienamente affidabile sul piano vocale (a parte l’incipiente debolezza nell’emissione delle note basse). Il suo «Celeste Aida» procede con ritmo un po’ lento e con qualche armonico in meno rispetto al passato (questo fa sì che le sezioni del registro risultino più differenziate); la zona delle note acute, però, è sempre squillante e solida: con i suoi sessantaquattro anni appena compiuti, Kunde è ancora capace di smorzare in gola la puntatura finale della cavatina e di alleggerire il suono ogni qualvolta lo ritenga opportuno per l’interpretazione. Per l’appunto: il Radamès che egli profila non è né concitato né manierato; conserva quella stilizzazione tipica dei personaggi rossiniani a cui il tenore è sempre rimasto fedele, che tutto dicono con il canto e con il fraseggio (non c’è bisogno di altro, del resto, quando un grande cantante deve intonare parole come «Mortal giammai né Dio / arse d’amor al par del mio possente»).
Lo spettacolo di Hugo de Ana è complesso, non soltanto per quanto riguarda l’organizzazione scenografica e cinetica: da un lato tende a enfatizzare ogni momento con i mezzi più tipici (movimenti scenici, gioco di luci, grandi masse), dall’altro ambisce smaterializzare la monumentalità di Aida, esaltando la dimensione evocativa dei suoi svariati simboli per mezzo di videoproiezioni ed effetti di dissolvenza. A differenza di altri registi, forse costretti a cimentarsi con questo titolo, de Ana non ricerca alcun tipo di realismo, perché sa perfettamente che la dimensione realistica non potrebbe essere più lontana dall’opera di Verdi e dal libretto di Ghislanzoni; altrimenti, quale sarebbe la ragione sensata di porre al centro della scena del trionfo la gradinata di una piramide in rovina (che assomiglia molto più alla cavea di un teatro greco) e un faraone di Egitto arrampicato sulla metà dell’elevato? La finalità di tali scelte è puramente pratica, funzionale alla musica, giacché colloca il coro dei sacerdoti e le trombe soliste in alto, su più livelli della rampa praticabile, concedendo lo spazio del proscenio ai movimenti coreografici. A ogni cambio di scena o di prospettiva l’elemento della piramide, che riassume contemporaneamente monumentalità e morte, incombe come effetto di ombra o di luce; in occasione del terzetto del I atto, per esempio, l’atmosfera si oscura e il triangolo violaceo di una piramide rovesciata si profila sopra i protagonisti del dramma (l’insistenza sull’architettura e sulla sovrabbondanza di spazi pieni deriva ancora una volta dal libretto di Ghislanzoni: la didascalia che introduce il I atto prescrive «una colonnata con statue […] i tempii, i palazzi di Menfi e le Piramidi»).

De Ana cura regia, scene e costumi, rivelandosi sempre molto attento in tema di vestiario: i contrasti di colore della scena del trionfo sono magnifici, e una delle ragioni principali del successo dei movimenti delle masse risiede appunto negli accostamenti cromatici; quando la grande piramide che fa da sfondo avanza rapidamente verso il pubblico e concentra tutti i figuranti in uno spazio ridotto e stratificato, il vivido rapporto tra i colori si impone in modo ancora più evidente. I momenti più deboli dello spettacolo sono quelli coreografici, perché incongrui rispetto all’idea rappresentativa con cui il regista lo ha rivestito. In una pièce che tanto ha da raccontare e da cui possono rampollare tante invenzioni (Zeffirelli creò nella sua ultima Aida addirittura un nuovo personaggio danzante …) i balletti di Leda Lojodice non sono sorretti da alcun intento narrativo e neppure affidati all’astrazione: sono puramente decorativi (o peggio ancora riempitivi). Nella scena della consacrazione di Radamès i figuranti iniziano a srotolare candide bende con cui si avvolgono il corpo, come per trasformarsi in mummie; nel II atto il gruppo maschile e quello femminile si affrontano con movenze alquanto triviali e un erotismo da discoteca, senza che si comprenda alcunché. Forse tale vuotezza di messaggio è la conseguenza di non aver scritturato una coppia di étoiles (come si fa abitualmente per riflettere anche sulla danza il dissidio amoroso dei personaggi principali) e aver affidato tutta l’espressività coreografica all’intero corpo di ballo. Comunque sia, Aida trionfa nel giudizio e nella reazione entusiasta del pubblico di Madrid; neppure questo deve stupire, dal momento che l’ineffabile perfezione del linguaggio musicale verdiano recupera e cancella qualunque défaillance delle altre forme di comunicazione.

Trama

ATTO I

Aida vive a Menfi come schiava; il padre Amonasro organizza una spedizione in Egitto per liberarla dalla prigionia.
Aida si innamora del giovane guerriero Radamés, dal quale è riamata; ma di costui si è invaghita anche Amneris, la figlia del re d'Egitto.
Amneris nutre sentimenti di gelosia per la principessa etiope e falsamente la consola del suo pianto.
Un messaggero porta la notizia che l'esercito etiope guidato dal re Amonasro sta marciando verso Tebe: è la guerra.
Il Faraone designa Radamés comandante dell'esercito che combatterà contro gli Etiopi.
Aida è combattuta tra l'amore per Radamés e il sentimento per il padre e il suo popolo.
Fra cerimonie solenni e danze il gran sacerdote Ramfis gli consegna la spada consacrata.
 

ATTO II

Amneris riceve nelle proprie stanze, dove piccoli schiavi mori danzano, Aida e con l'astuzia la spinge a dichiarare i suoi sentimenti per Radamés, annunciandole la morte dell'amato in battaglia.
Amneris minaccia Aida che, disperata, è costretta a chiedere perdono.
Risuonano le trombe della vittoria e la popolazione accorre alla cerimonia del trionfo; mentre il re siede sul trono con la figlia, l'esercito sfila davanti a lui.
Radamés viene incoronato da Amneris con il serto dei vincitori ed intercede a favore dei prigionieri tra i quali si trova Amonasro, padre di Aida.
Il re accoglie la richiesta di rilasciare i prigionieri, poi, per la protesta dei sacerdoti, decide di trattenere come ostaggi Aida e un guerriero, in realtà Amonasro, che giura di aver sepolto il re degli Etiopi.
Per gratitudine il Faraone concede a Radamés la mano della propria figlia.
 

ATTO III

Radamés ha solo apparentemente acconsentito a diventare sposo di Amneris, la quale si reca al tempio della dea Iside per pregarla di proteggere le sue imminenti nozze.
Quella stessa notte, mentre Aida attende l'amato sulle sponde del Nilo, Amonasro convince la figlia a tradirlo: Aida ottiene le informazioni richieste.
Il padre, poi, spia il colloquio tra i due innamorati e viene a conoscenza del luogo dove l'esercito egiziano attaccherà gli etiopi.
Quando Amonastro esce dal nascondiglio e si presenta come il re degli Etiopi, Radamés capisce di aver involontariamente tradito il proprio paese.
Con il suo aiuto Aida e il padre riescono a fuggire, mentre Radamés si consegna al gran sacerdote per espiare la propria colpa.
 

ATTO IV

Amneris desidera salvare la vita dell'uomo che ama, ma Radamés la respinge: non vuole più nascondere il suo amore per Aida, la schiava liberata e sopravvissuta alla battaglia durante la quale ha perso il padre.
Amneris si dispera, implora pietà per Radamés che viene condannato dai sacerdoti per tradimento ad essere sepolto vivo.
Nella cripta sotto il tempio di Vulcano, mentre sta per essere murato, invoca Aida e costei come in un sogno gli appare: è venuta a morire con lui.
I due innamorati si abbracciano e dicono addio al mondo che li ha condannati, mentre nel tempio Amneris piange e prega durante le cerimonie religiose e la danza delle sacerdotesse.